L’era di Frank, in difesa di un approccio

di Michele Tossani (@MicheleTossani)

L’era di Frank De Boer comincia con una sconfitta per 2-0 sul campo del Chievo, a seguito di una prestazione a dir poco opaca. I Nerazzurri sono mancati sul piano del gioco, dei singoli e della freschezza atletica. Subito la stampa italiana ha attaccato l’allenatore olandese per la prestazione della squadra e per alcune scelte, a cominciare da quella del sistema di gioco utilizzato (il 3-5-2), per proseguire poi con quella degli uomini dell’undici iniziale. In particolare è apparsa senza senso la decisione di rinunciare a Ivan Perisic, uno degli uomini di maggior qualità della rosa, reduce da un ottimo Europeo.
Tuttavia, se analizziamo nello specifico le decisioni dell’allenatore e la prestazione della squadra, non possiamo che spezzare una lancia a favore di De Boer.
Infatti non bisogna dimenticare come l’ex difensore della nazionale olandese abbia avuto a disposizione appena dodici giorni di lavoro dal momento in cui è entrato in carica come allenatore dei Nerazurri, in sostituzione di Roberto Mancini. Lo stesso Mancini che, a sua volta, di prestazioni imbarazzanti come gioco e risultati ne ha collezionate a decine, godendo però del favore di parte della critica, sempre generosa nel ridimensionarne le colpe.
Come ha spiegato ai giornali del suo Paese, De Boer ha scelto un sistema di gioco il (3-5-2), che non è nelle sue corde, soltanto per una questione di tempi. Essendo arrivato da poco a Milano e non avendo quindi avuto molto tempo a disposizione per lavorare su certi automatismi, De Boer ha preferito andare con un sistema più familiare per i giocatori piuttosto che insistere sul 4-3-3 o sul 4-2-3-1, moduli a lui più cari e sperimentati con non poco successo nei pochi giorni in cui ha avuto a disposizione la squadra.
Col senno di poi, è chiaro che la scelta della difesa a tre ha portato più danni che benefici ma in partenza aveva una sua logica. Dal punto di vista difensivo infatti Miranda, Ranocchia e D’Ambrosio erano in superiorità numerica in fase di impostazione nei confronti delle due punte veronesi. A centrocampo, gli esterni Nagatomo e Candreva garantivano ampiezza sui possibili cambi di gioco volti ad attaccare sul lato debole del campo lo stretto rombo clivense. Schierare poi tre centrocampisti centrali permetteva all’Inter, teoricamente, di avere un giocatore in più in mediana per riciclare il possesso e aiutare le uscite basse dalla difesa.
In attacco, infine, schierare due punte vicine permetteva a Eder di giocare in una posizione più centrale al fianco di Icardi.
Quello che è mancato ai Nerazurri non è stata tanto la scarsa abitudine a giocare con questo sistema (già praticato quando era Walter Mazzarri a sedersi sulla panchina interista), quanto certe problematicità mostrate in fase di esecuzione, come la lentezza nel giro palla o la scarsa capacità di giocare in profondità.
Inoltre poco è stato prodotto sulle fasce, dove gli esterni interisti venivano spesso presi in inferiorità numerica dalla coppia formata da terzino e interno di centrocampo, in uscita laterale, del Chievo.
A questo si aggiunga che, come si vede dall’immagine qui sotto

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l’Inter ha mosso la palla soprattutto lateralmente, con pochi passaggi e pochi palloni giocabili a cercare Icard e Eder: alla fine, il risultato è stato che l’attaccante italo-brasiliano ha concluso la sua partita con appena due tiri in porta, entrambi da fuori area, mentre Icardi addirittura non ha mai tirato verso Sorrentino. Venendo dalla gestione Mancini, in cui l’obiettivo in possesso palla era quello di cercare immediatamente la profondità anche con palloni, lunghi e in cui ai centrocampisti centrali non venivano chiesti lunghi tempi di possesso, i Nerazzurri si sono ovviamente trovati a disagio nel cercare un tipo di gioco maggiormente orientato alla ricerca della superiorità posizionale tramite il possesso palla.
Ma questo era inevitabile, dato l’esiguo numero di allenamenti fatti con il nuovo tecnico.
Certamente, la presenza di un uomo di indubbia qualità come Perisic sarebbe stata utile ma, come spiegato da De Boer, il croato è stato messo fuori perché non ha ancora recuperato dalle fatiche di Francia 2016. Se conoscete il prof. Raymond Verheijen e le sue teorie sul recupero atletico dei giocatori potete capire come questa sia stata la decisione più giusta.
Diversamente da Mancini, De Boer non è un allenatore manager, un gestore di spogliatoi, ma un tecnico che vuole insegnare un certo tipo di calcio. Il 4-3-3 messo in mostra come allenatore dell’Ajax è basato su geometrie precise, sulla gestione degli spazi, sul collettivo, sul giro palla a partire dalla difesa, sulla ricerca dell’uno contro uno sugli esterni.
È un sistema interpretato in chiave molto offensiva, dove si esige che ogni giocatore rispetti le consegne ricevute. E dove si richiede una grande preparazione atletica. E qui torniamo ad un altra critica mossa a De Boer dalla stampa italiana. Effettivamente l’Inter è parsa in grave deficit atletico domenica scorsa. Ma come si può addebitare questo all’olandese quando due terzi della preparazione sono stati svolti sotto la precedente gestione, cioè sotto Mancini ed il suo staff?
In conclusione, è presto per criticare De Boer, anche se il linciaggio mediatico sembra già partito, soprattutto da parte di chi non ha digerito la defenestrazione di Mancini da parte della dirigenza nerazzurra. Ma questo clima non aiuta il nuovo allenatore né la squadra. Per vedere se De Boer sarà in grado o meno di replicare il tipo di gioco collaudato in Olanda sarà necessario aspettare ancora qualche partita. Si avrà la pazienza di farlo?

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