Il Rumore non fa gol (per ricordare Giacinto, il migliore di tutti noi)

Alle 13.50 saranno 10 anni esatti senza Giacinto Facchetti, Capitano, Presidente, Uomo.

Il rumore non fa gol è il modo intelligente e romantico in cui Paolo Maggioni, Davide Barzi e Davide Castelluccio hanno voluto rendere omaggio a una delle persone migliori che abbiano mai calcato un campo da calcio, una graphic novel pubblicata da Beccogiallo di cui Facchetti è il motore immobile, il protagonista assente, il campione inavvicinabile eppure vicinissimo. La storia di generazioni di giornalisti interisti che si tramandano i valori di Giacinto, che si tramandano Giacinto come monumento, come grattacielo dell’interismo più puro e intenso.

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La storia è quella di un padre e un figlio che giocano a rimpiattino con i sentimenti e cercano di mettere la professionalità e il mestiere davanti all’emotività, che riescono a liberarsi solo quando incrociano la parabola dell’uomo silenzioso, ironico e profondo che per quasi 50 anni più che rappresentare l’Inter è stato l’Inter. Ci sono piani narrativi che si sovrappongono, il racconto di partite storiche (le finali di Coppa Campioni, l’Europeo del ’68, i Mondiali del ’70), e c’è il cammino lento e virtuoso verso la gloria del figlio del ferroviere Giacinto Facchetti, in arte e nella memoria sbilenca del Mago Herrera Giacinto Cipelletti. C’è il racconto della Rivoluzione Gentile del suo ruolo e la lunga metafora del Capitano di lungo corso, quella che trasforma il calciatore prodigioso e senza macchia in una malinconica versione di Corto Maltese alle prese con un mondo che riconosce sempre meno.

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Un calcio nevrotico, fatto d’immagine, scandali, violenza. Tutto quello che Facchetti per una vita ha evitato accuratamente salvo poi ritrovarsi sulla bocca di uomini osceni, senza potersi nemmeno difendere dal tentativo di livellamento verso il basso, di macchiare a tutti i costi l’immagine bellissima del santo laico. Non ne parliamo, è spazzatura che con questo libro e con la memoria di Giacinto ha poco, pochissimo a che fare. Scrivere qualcosa di poco banale in occasioni come questa è difficile, io sono uno di quelli che il Cipe l’ha visto sul campo quando ancora l’età della memoria fotografica non era arrivata, conservo il ricordo di tante immagini in bianco e nero, di filmati e celebrazioni ma non l’ho veramente mai visto giocareMi manca quindi l’idea e l’esperienza di quell’atleta formidabile che correva lungo un binario imponendo la sua classe e una forza fisica dirompente, l’idea di un giocatore che privilegiava la correttezza, quasi incapace di picchiare, l’idea di un uomo semplice ma dal carisma enorme, dei suoi silenzi interminabili e delle battute fulminanti. Quanto ci manca Giacinto Facchetti? Tanto, tantissimo, soprattutto oggi che l’identità e la storia dell’Inter sono valori un po’ traballanti tra passaggi di proprietà e papi stranieri. Ci manca chi sappia raccontare l’epica di una squadra diversa dalle altre, chi sappia spiegare che:

“Ci sono giorni in cui essere interista è facile, altri in cui è doveroso e giorni in cui esserlo è un onore.”

Di queste cose, di queste parole era capace il Cipe, uno a cui del proprio voto in pagella e del tornaconto interessava molto poco, uno che quando fu espulso per la prima volta uscì dal campo accompagnato da un uragano di applausi.

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La frase su quella fascia da capitano è di Massimo Moratti, l’incipit della sua lettera a Giacinto, del primo ricordo dopo la scomparsa. È tutto vero, parola per parola, sia l’esempio che la perdita. Ci è mancato e ci manca, perché ogni gruppo, ogni comunità per lieve che sia il motivo della sua aggregazione ha bisogno di guide, di punti di riferimento e di leggende. Alle 13.50 saranno 10 anni che Giacinto non è più con noi oppure 10 anni che lo è ancora di più, nei nostri pensieri, presente e gigantesco come nei sogni di un bambino, di quel bambino che lo vedeva alto come un grattacielo e veloce come un treno e che crescendo non ha cambiato idea, non ha mai smesso di immaginarlo così, perché ci sono favole che per nostra fortuna restano tali. Favole di cui è giusto conservare il ricordo, quella maglia numero 3, una maglia che è di tutti noi.

facchetti.jpgEsteban Cambiasso festeggia lo scudetto 2007 indossando la maglia di Facchetti

Grazie a Maggioni, Barzi e Castelluccio per avercela raccontata, grazie a Giacinto per essere stato tutto quello che un uomo deve essere.

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