Il giocatore di pallone (e una carezza)

Il giocatore di pallone non sa se sia cosa giusta o meno continuare con questo gioco, se sia opportuno fermarsi o se sia meglio continuare come nulla fosse. Il giocatore non lo sa, e neppure noi abbiamo le idee chiare, se non opinioni raffazzonate ed estemporanee, intrise di emozioni e di dubbi. Il giocatore non lo sa, ma ora ha il dovere di non pensarci. Almeno per un giorno. Almeno per 90 minuti.

Il giocatore di pallone, fin da piccolo, aveva un dono: accarezzava il pallone come nessun altro era capace e questo lo ha messo un gradino più in alto rispetto agli altri per quella grande fortuna dell’essere capace laddove forte batte il cuore di tutta una nazione. Faceva luccicare gli occhi della mamma, faceva applaudire i compagni, faceva sognare le ragazze, faceva sorridere l’allenatore: un calcio dopo l’altro, distribuiva emozioni. Il giocatore non ha il dovere di avere una opinione su tutto, ma quel suo piede delicato lo rende, per qualche strano motivo del destino, più influente di tanti altri. E di tutti noi.

Il giocatore di pallone in queste ore è rimasto turbato come tutti da quel che accade, ma in assenza di decisioni differenti ha il dovere di portare avanti il suo dovere, il suo lavoro, la sua vocazione: accarezzare quel pallone come solo lui sa fare.

Questa sera alcuni dei più importanti giocatori di pallone che l’Italia conosca dovranno scendere in uno stadio vuoto, dove l’eco delle voci moltiplicherà una solitudine a cui non sono certo abituati. Ma il giocatore di pallone questa sera dovrà ricordarsi che in quel piede ha un dono in più: accarezzare un Paese intero. Il giocatore di pallone, al quale spesso il destino ha messo poca poesia nell’eloquenza, ma tanta tra le caviglie, deve sapere che ancora una volta potrà dipingere poesie che terranno gli italiani a casa come nessun consiglio, nessuna legge e nessun timore è riuscito a fare in queste settimane.

Quando scenderà in campo, il giocatore di pallone dovrà dimenticare che si gioca per le urla della curva o per i mugugni degli spalti: il giocatore di pallone dovrà accarezzare il pallone semplicemente perché questo è quel che sa fare, così come il musicista deve continuare a suonare, il poeta a scrivere e il pittore a dipingere. Dovrà farlo perché c’è una nazione che ha bisogno di sognare per qualche minuto prima di tornare ad una settimana difficile. Dovrà farlo perché è il suo dono, perché lo deve a quella divinità che glielo ha regalato.

Non sappiamo se sia giusto o meno giocare. Non sappiamo se fosse meglio fermarsi o no. Ma non è a questo che il giocatore di pallone deve pensare oggi: quando si ha il dono divino di saper dare una carezza, la colpa peggiore sarebbe soffocarla, che attorno ci siano migliaia di persone ad applaudirti o che tu la possa donare nel più totale silenzio.

Nell’immagine di copertina v’è quel che sa fare una ragazzina quando non può andare a scuola, non può andare al parco giochi, non può vedere i propri amici, ma ha il dono di saper dare una carezza.

One thought on “Il giocatore di pallone (e una carezza)

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  1. Purtroppo non abbiamo avuto giocatori in grado di dare una sola carezza.
    Erano goffi tentativi, rimasti tali.
    Forse ci vuole un insegnante con un po’ più di disponibilità al cambio di modulo (non potevo non commentare tecnicamente la vicenda).
    Non abbiamo giocatori per il 3 5 2
    Un sano 4 2 3 1 farebbe al caso.
    Con l’esclusione di qualche sopravalutato.
    Sono dispiaciuto nell’aver dissacrato il tuo scritto, ma la delusione del post partita è tanta.
    E purtroppo e nonostante tutto, non mi sono sentito “accarezzato”.
    Speriamo bene e meglio per il futuro.
    Antonio Milella

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