Fate largo ai sognatori, purché siano bei sogni (e sappiano spiegarmi cosa vedevano in de Boer)

di Alcide Ghiggia

Fate largo ai sognatori.

A chi vede oltre le apparenze, a chi sa immaginare, a chi entra nel futuro senza sapere che cosa ci sta a fare.

Fate largo a chi si innamora di un’idea, a chi scambia i desideri per realtà, a chi non si accorge che il re è nudo.

Sia chiaro, non voglio prendere in giro nessuno, credo in maniera convinta che la storia del calcio sarebbe una noia infinita se non ci fossero in giro cavalieri sbruffoni capaci di indicare una strada (magari non di percorrerla, ma a volte questo è un dettaglio) e di farci credere che alla fine del cammino troveremo coppe e scudetti, vittorie e trionfi, applausi e onori. Ci siamo cascati tutti, qualcuno con un profeta boemo, qualcuno con un professore siciliano, qualcuno con un santone argentino. C’è chi ha creduto in ex venditori di champagne e in ex professori di ginnastica. Io, per esempio, lo confesso, ero rimasto abbagliato da un giovanotto romano simpatico e un po’ fenomeno, elegante e distinto. Laureato in legge, addirittura. Io credevo in Andrea Stramaccioni, pensa te, quindi, lo ripeto, non voglio scherzare con nessuno. Soprattutto con chi si è infiammato per Frank de Boer.

Però è arrivato il momento di fare una domanda semplice semplice a tutti voi: perché?

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De Boer è certamente un’ottima persona, vincente in casa anche se ancora vergine all’estero ma non può essere una colpa perché da qualche parte bisogna pur iniziare, non un parolaio, anzi. Non ha mai promesso di cambiare la storia, non ha ipotizzato rivoluzioni, non è venuto qui a dirci che avrebbe bruciato il calcio italiano e che avrebbe fondato una nuova chiesa. Sembrava tutto buon senso e tentativi di bel gioco. Ma chi mai è arrivato in una squadra nuova e ha promesso di giocare male?

Eppure in tanti si sono illanguiditi. Forse perché basta essere olandesi e quindi è subito calcio totale, donne in ritiro, Johann Cruijff e Amsterdam e quei bei viaggi che a diciott’anni sono una figata e a quaranta un po’ patetici. Forse perché chiunque avrebbe ricevuto abbracci e baci da chi si sentiva naufrago dopo mesi di tempesta fra proprietari lontani, allenatori disamorati, centravanti che sembravano distratti e mercenari (sembravano, ma questo è un altro discorso e non ho voglio di aprirlo qui, scusali Maurito e andiamo avanti). Forse è stato istinto di protezione davanti a critiche spesso gratuitamente feroci, forse gratitudine per l’evidente sforzo che ci stava mettendo, sul campo come nelle interviste televisive.

Il dato di fatto è che per alcuni (tanti? pochi?) improvvisamente de Boer è diventato una religione. Mezza partita buona e il vicino di posto ci dava di gomito: hai visto come si gioca? Una striminzita vittoria e lo stesso vicino gonfiava il petto e ci guardava come infedeli che non capivano. Poi le colpe erano di terzini inadeguati, di centrocampisti distratti, sempre di qualcun altro e mai sue. Guru a sua insaputa, direi.

È finita come è finita, ci siamo svegliati tutti quanti, scettici e sognatori, è stato chiamato l’idraulico ad aggiustare le perdite e ovviamente nessuno si è innamorato a prescindere di uno che doveva stare lì solo a scaldare il posto per Simeone o Guardiola o Mourinho (in ordine di santità, ovvio). È arrivato Stefano Pioli e con lui la realtà: una squadra medio buona, che può giocarsi il terzo posto e sperare in qualcosa di più, che non avrebbe dovuto fare figuracce in Europa, che ieri ha battuto il Bologna in coppa Italia anche con Gabigol in campo (a proposito di fantasie…).

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Si sa che quando la testa è piena di sogni puoi vedere il cambiamento che desideri, ma che sul boulevard dei broken dreams ci si ritrova a camminare da soli (doppia cit.). Quindi ripeto: qualcuno ha voglia di rispiegarmi, a mesi di distanza, che cosa aveva visto in de Boer e come la pensa oggi?

Grazie. A chi ha voglia di rispondermi, a Stefano Pioli che ha aggiustato tutto e anche a Frank de Boer, che almeno ci ha provato.

One thought on “Fate largo ai sognatori, purché siano bei sogni (e sappiano spiegarmi cosa vedevano in de Boer)

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  1. Ci sono tutti i pezzi che ho indegnamente scritto qua su “Il Nero e l’Azzurro” e potrei limitarmi a rimandarti ai link, l’ultimo dei quali il pezzo prima di questo. Più semplicemente, Frank de Boer rappresentava la pianificazione non estemporanea (involontaria, visto l’estemporaneità con la quale colpevolmente è stato chiamato sulla panchina nerazzurra), qualcosa che ci ha affossato tanto quanto le prestazioni di Nagatomo e i provini di Carew, anzi questi essendo dirette conseguenze di quella.

    Frank de Boer rappresentava lo sforzo collettivo per creare qualcosa di durevole nella roccaforte più munita dell’effimero e dell’aleatorio, qual è una stagione calcistica. Era avere l’illusione guardando il Barcellona, l’Ajax e il Bayern di poter rimanere competitivi ogni anno senza dover sperare sempre nel santone, nell’uomo della provvidenza o nell’acquisto di Ronaldo strappato al Barcellona, ma solo perché c’è un impianto collaudato di gioco unito a giocatori forti e funzionali, per cui se non arrivi primo arrivi secondo.

    Era l’idea del collettivo che vince in un paese di irriducibili individualisti che si è rovinato a furia di correre dietro al particulare, al familismo, invece di mettere in campo coordinamento, unità d’intenti e applicazione meticolosa dello sforzo.

    Era la possibilità concreta di trovare se non un Iniesta tra i Crisetig almeno un Eriksen in mezzo ai Benassi. Era lo sfregio da dare al mondo che ci vede solo come quelli della difesa e del contropiede per dimostrare che all’Inter nulla è impossibile, all’Inter si vince scegliendo come vincere, all’Inter non ci sono limitazioni che possano far diminuire le possibilità di vincere, quali quelle di prendere un allenatore con certe caratteristiche.

    Era la certezza di avere una società che dice “ci siamo qua noi, voi tifosi non dovete preoccuparvi, sappiamo ciò che facciamo”, e tanto più quanto nel periodo di ambientamente ha avuto difficoltà, tanto più la società avrebbe detto “lui è il nostro progetto, non improvvisiamo pi. Niente più Kuzmanovic a gennaio spacciati per risolutori del problema.

    Era la possibilità di far vedere che in Italia puoi progettare, persino col calcio, e ottenere risultati se lavori duro e hai la pazienza di aspettare il raccolto, responsabilizzando i tuoi giovani, quelli che hai fatto crescere dando loro il senso di appartenenza prima di ogni altro rudimento tecnico.

    Era l’urlo del tifoso che dice alla società “adesso basta, me ne avete fatte troppe”.

    Vincere con Pioli mi darebbe la stessa gioia, come mi darebbe gioia vincere con chiunque in panchina, non è questo il punto, perché io tifo Inter, non de Boer e nenache Pioli. Pioli è un ottimo allenatore, e a luglio pubblicamente dissi che a me piaceva sia come allenava le sue squadre sia il gioco che produceva. Ê pure interista, figurarsi.

    Il punto è fare una rivoluzione e vincerla, contro tutto e tutti, questo sarebbe stato esaltante. Questo era per me Frank de Boer, e il rimpianto sarebbe meno grande se non avessi visto la sua Inter giocare molte volte come avrebbe potuto giocare e vincere ogni domenica. Ecco i miei perché.

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