Buon trentanovesimo compleanno Dejan, il regalo è stato vederti giocare per noi

di Paolo Maggioni

Sono sempre più convinto che scienza e ragione siano nemici giurati del calcio. Odio statistiche, GPS applicati all’allenamento, le sentenze della VAR, gli alchimisti del moviolone, quelli del tap-in, della performance, del warm-up, dell’intensità. Aggiungo con totale convinzione che l’ultimo colpo di genio di Balotelli è stato – senza dubbio – il tentativo di abbattere a pallonate il drone che stava filmando l’allenamento. L’ennesima tamarrata, forse, ma anche la voglia di restituire il pallone a quello che è: un gioco. Perché io sono per i gol pazzi. Per le sabongie, le stangate, le roveghe. Sono per l’istinto puro, quello che non si prepara. Sono per le decisioni prese in una frazione di secondo che diventano poesia, anche correndo il rischio di trasformarsi in colossali figuracce. Ho visto pochi campioni giocare da uomini e saper restare lucidi come bambini. Non rinunciare mai alla fantasia e correre il doppio per sostenerla. Essere numeri dieci e dimezzarsi per il bene comune. Ho visto pochi giocatori come Dejan Stankovic.

Quando hai fatto gol allo Schalke, Deki, ero in treno con il mio amico Simone Rovera. Stavamo tornando da Roma, dove avevamo appena passato l’esame di stato da giornalista. Era l’unico motivo valido per saltare una nostra partita a San Siro, quell’anno. La seguivamo sul cellulare che perdeva il segnale tra le gallerie. Ricordo il lancio di Cambiasso, Neuer che esce di testa, la linea che si interrompe tra una galleria e l’altra, qualche imprecazione piuttosto colorita, il segnale che torna e tutti gli altri a festeggiare intorno a te, noi esaltati sul vagone, noi che avremmo saputo solo alla Centrale che capolavoro avevi tirato fuori. Abbiamo perso, certo, ma di quella partita ci si ricorderà solo del tuo genio. Della regia televisiva che quasi si perde il tiro al volo e che poi schizza dietro alla palla, ad inseguirla, sorpresa quasi più di noi (e di Neuer). Un gol memorabile: quella sconfitta, invece, fa solo volume.

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L’elenco delle ragioni per cui è stato impossibile non volerti bene è molto lungo. Mi limito ai tantissimi gol nei derby (al Milan, tu, davvero non ci saresti mai andato), al tuo correre e lottare sempre a testa alta, a quel tuo esserci sempre: doti che hanno fatto innamorare tutti i tifosi nerazzurri, con una unanimità rarissima, per niente sbandierata, senza paraculismi, frutto di sincero affetto ed impegno.

Hai smesso di giocare da tre anni e ci manchi, Deki. Il tuo addio all’Inter è stato semplice,  bellissimo: un giro di campo con la tua famiglia, le lacrime, la mano sul petto, un inchino, chapeau. Nessuna prosopopea. Sei andato via in punta di piedi perché potessimo sentirti sempre presente, sempre uno di noi. Con te sarà sempre un arrivederci.

Così ripenso a quel gol con lo Schalke, Dejan, e a tutto il resto della tua carriera. Forse qui servirebbero davvero scienza e ragione per scoprire l’ingrediente segreto di un rapporto così stretto con la tua gente, la gente nerazzurra.

Un indizio l’ho trovato guardando le tue scarpe. Me le ha mostrate un comune amico magazziniere, che le conserva ancora come reliquie. Credo ti aiutasse anche a personalizzarle, ma non nel senso delle scritte con i nomi dei tuoi figli, di tua moglie, o di attaccarci il logo con la bandiera della Serbia. Intendo proprio nel senso di renderle uniche, perché non ho mai visto nessun professionista -e pensandoci nemmeno un dilettante- calzare per scelta scarpette con un grosso buco all’altezza del ditone del piede.
Superlativo: gli esperti potrebbero dire che quelle scarpe bucate fanno più attrito, danno potenza, una botta che è una meraviglia. Se il ditone respira, sai com’è. Lascia fare.

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Più ci penso, ai buchi nelle scarpe all’altezza dei ditoni, e meno mi convinco: il vero ingrediente segreto deve essere un altro. E non occorre stare a ballarci tanto intorno: non può essere stato altro che l’amore. Quella cosa che si vede in campo ogni domenica, che non si spiega ma si trasmette, la ragione per cui San Siro sarà sempre casa tua.

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Scusami tanto, Dejan, per l’eccessiva retorica. Ma finisce sempre così, quando mandi due righe a qualcuno che stimi, a cui vuoi sinceramente bene anche senza conoscerlo. Tanti auguri per i tuoi 39 anni. Il regalo è stato vederti giocare per noi.

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