Chi cercava in Juventus-Inter una svolta dovrà cercare altrove.
Chi voleva il ridimensionamento nerazzurro dovrà tenere ancora chiuso lo champagne.
Usciamo dalla trasferta più complicata della stagione con un punto e la conferma che la strada è giusta, ma è ancora lunga: un’asticella che non si può ancora alzare, ma che non ne vuole sapere di abbassarsi.
La partita di sabato ha dimostrato abbastanza chiaramente che non è ancora ora di andare a spadroneggiare da chi si è impadronito della scena per 6 lunghi anni, ma dall’altra parte anche che il superbo lavoro di Spalletti è stato recepito in maniera molto seria da parte delle avversarie.
Credo infatti sia la prima volta, da quando allena la Juventus, che Allegri adegua la sua idea di gioco facendo la tara sull’Inter pur giocando in casa : tale trattamento speciale in Serie A è stato riservato solo a Roma e Napoli nel corso degli ultimi anni, anche se l’ex allenatore del Milan è uno specialista di aggiustamenti tattici nei big match.
Stavolta ci temeva, ha sacrificato buonissima parte della qualità a disposizione per inserire la sostanza che ad esempio provvede Mandzukic, uno che magari non scalda gli stadi con i pezzi di bravura tecnica, ma che ha fatto un filtro eccezionale a metacampo.
Meno arcieri e più corazzieri, in pratica: una soluzione che dal punto di vista del non prenderle ha funzionato benissimo.
Ma, dalla parte nerazzurra, come interpretare questo 0-0 portato via da Torino?
Certamente come una conferma di serietà del progetto tecnico.
Abbiamo tenuto all’asciutto la Juventus che non mancava l’appuntamento con il gol tra le sue mura da qualcosa come due anni e mezzo, per ciò che concerne il campionato: mica male.
Mica male ripartire dalle ceneri di una stagione da dimenticare, andare nei primi quattro mesi sui due campi più tradizionalmente sfavorevoli (Napoli e Juventus) e non concedere all’avversario nemmeno una realizzazione.
Da questo punto di vista, il risultato di sabato potrebbe aver chiarito a tutti che l’Inter non è il bluff in balìa di eventi e casualità che si è spesso dipinto: per me la cosa era assodata da diverso tempo, per cui non posso definirmi sorpreso o spiazzato.
Tuttavia, non sarà questo il match che ci imprimerà la svolta per aggiustare gli obiettivi e parlare di Scudetto in disinvoltura.
Le ragioni sono molteplici: Spalletti ha disegnato una squadra propositiva con l’intento di fornire più soluzioni di gioco rispetto al canonico piano partita in cui la vittoria passa spesso dal controllo delle corsie esterne, ma l’Inter è stata più fumosa che propositiva.
La Juventus ha bloccato le fasce con il costante aiuto dei centrali difensivi e degli esterni alti, creando spesso un impossibile uno contro tre a causa del quale né Candreva né Perisic sono mai entrati in partita.
L’alternativa centrale, che doveva essere Brozovic, non ha mai intuito il da farsi prima dei suoi avversari e se l’Inter è rimasta territorialmente in partita per tutto il primo tempo lo deve soprattutto a quel luminare di Borja Valero, che se fosse stato agganciato quando è retrocesso con il Villarreal avrebbe dato anche di più all’Inter che attendeva un giocatore di questa intelligenza fin dall’uscita di scena di Cambiasso.
Una volta venuto meno, fisiologicamente, l’apporto del madrileno ha preso vita ciò che oggi, a parere dello scrivente, non ci permette ancora di dire che l’Inter può puntare allo Scudetto: il timore reverenziale.
Gran parte della ripresa è stata interpretata con la paura di sbagliare che ad esempio non si era mai vista a Napoli, tra seconde palle perse e fase di transizione mai precisa né ragionata. La Juventus, fiutato il sangue della preda, ha cambiato marcia ma ha scoperto che la retroguardia era ancora sul pezzo come lo è stata per l’intera partita: alla fine il secondo tempo ha consegnato la netta impressione che il punto lo abbia guadagnato l’Inter e i rimanenti due li abbia persi la Juventus.
Da più parti è arrivato un po’ di disappunto per questa sensazione di insicurezza trasmessa da una squadra sinora così consapevole delle proprie possibilità, ma per quanto la sensazione sia stata reale la preoccupazione è ingenerosa ed eccessiva: ci è piaciuto pensare che il ruolo della Juventus in questa Serie A sia stato costruito ad arte dalla stampa asservita, ma la parte di verità insita in questo concetto non basta a farmi dimenticare che la Juventus si è cucinata tutte le sue competitors allo spiedo nel corso degli anni senza avere mai un’avversaria credibile fino in fondo.
Si è capito anche il perché: Allegri oggi potrebbe schierare due squadre e mezza, potendo scegliere di volta in volta quali caratteristiche premiare.
La superiorità sulle fasce? Lo spunto centrale? il centrocampo taglia e cuci? La fase difensiva posizionale? La supremazia fisica? Teoricamente l’allenatore della Juventus potrebbe preparare ogni partita con una trama diversa o scegliere come cambiarla radicalmente nel corso della partita stessa.
La varietà di soluzioni a disposizione della Juventus la rende ancora, per parere soggettivo, la squadra più forte del campionato. Con il Napoli ha vinto con il contropiede e la difesa posizionale, con l’Inter poteva vincere attraverso lo spunto e la qualità, cose che Allegri probabilmente ha intuito troppo tardi. Ciò che invece è parso non poter accadere in queste due partite, è stato che la Juventus le perdesse.
Così forse si spiega per quale motivo il pareggio di Torino è un mattone solido e fisso nel percorso di crescita Inter che sono sicuro non essere ancora al suo apice: non ha alzato l’asticella verso la corsa Scudetto, ma non l’ha abbassata confermando che la squadra di Spalletti vale in pieno i 40 punti su 48 che ha raccolto fino a questo momento.
Senza mai rilassarsi, senza mai sfigurare nettamente nel confronto con le due squadre annunciate in estate come le duellanti sul ring tricolore: l’Inter non ha ancora la confidenza che serve per tentare il sorpasso primaverile senza rischiare di schiantarsi, ma è sulla strada giusta per trovarla.
Che è pur vero il conforto dei precedenti in cui la squadra partita dal niente arrivava al bersaglio grosso(La Juventus di Conte, il Leicester), ma vero è anche che senza il crollo di chi era più attrezzato per l’obiettivo non sarebbero state storie di egual successo.
Teniamoci la sicurezza di avere una squadra. Non solo: una squadra tosta, concentrata, difficilissima da battere per chiunque.
Teniamoci una difesa granitica, il livore delle rivali pronunciato come non lo era da tempo, teniamoci la consapevolezza che per ottenere il nostro obiettivo bisogna puntare al massimo senza farne un’ossessione brucia tappe.
Cuore al traguardo e testa sul percorso.
Il decollo è autorizzato.
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